
La nostra epoca si ribella al reale, rifiuta la perdita ed esige che l’oggetto sia a disposizione ed è per questo che vuole far sparire la sua sparizione, annullando il dolore della perdita.
Con la psicoanalisi impariamo che per ciò che concerne il lutto è in gioco il rapporto del soggetto con l’oggetto e Lacan nel Seminario Il desiderio e la sua interpretazione precisa che il processo del lutto permette di cogliere qualcosa intorno al “rapporto paradossale che sussiste tra il fantasma e la relazione oggettuale”.[1] Fantasma che si costruisce nell’interrelazione tra il soggetto e i suoi oggetti pulsionali, ma anche nella relazione con quelle persone che hanno avuto per il soggetto un ruolo fondamentale: in primis la madre, ma anche il padre.
E’ un’indicazione clinica molto importante.
Nel saggio del 1915, Lutto e melanconia, Freud affronta la questione del lutto in senso molto ampio, facendo riferimento alla perdita di un essere caro ma anche alla perdita di un ideale che occupa il posto di oggetto. In questo testo Freud si concentra sulla melanconia e facendo dei riferimenti alla condizione umana del lutto permette di far cogliere i punti di contatto ma anche le divergenze che si stabiliscono tra lutto e melanconia.
Rispetto al lutto scrive Freud: “l’esame di realtà ha dimostrato che l’oggetto amato non c’è più e comincia a esigere che tutta la libido sia ritirata da ciò che è connesso a tale oggetto”.[2] Freud definisce il lutto come un processo intrapsichico che consente al soggetto di staccarsi gradualmente dall’oggetto scomparso attraverso un sovrainvestimento su ogni dettaglio, ogni ricordo, che lo lega ad esso per potersene in seguito distaccare.
Lacan,nella lezione del 3 Luglio 1963 del Seminario L’angoscia,dice:“Freud ci fa notare che il soggetto del lutto ha a che fare con un compito che sarebbe quello di consumare una seconda volta la perdita dell’oggetto amato provocata dai casi del destino”.[3]
Vi è dunque in gioco una logica della ripetizione dei significanti e delle immagini legate al defunto.
Un processo che avviene non senza resistenza da parte del soggetto, così come sottolinea Freud: “contro tale richiesta si leva un’avversione ben comprensibile, si può infatti osservare invariabilmente che gli umani non abbandonano volentieri una posizione libica, neppure quando dispongono già di un sostituto che li inviti a farlo “.[4]
Questi elementi in gioco possono offrire ancora qualche indicazione preziosa per la clinica anche per come Lacan nel capitolo XVIII del Seminario Il desiderio e la sua interpretazione chiede: “in che cosa consiste il lavoro del lutto”?[5]
Sono in gioco gli aspetti più evidenti che riguardano il dolore del soggetto e il suo rapporto con l’oggetto scomparso e “in altri termini, il lutto, che è una perdita vera, intollerabile per l’essere umano provoca per lui un buco nel reale (…). La dimensione veramente intollerabile offerta all’esperienza umana non è l’esperienza della propria morte, che nessuno ha, bensì quella della morte di un altro, che sia per voi un essere essenziale”.[6]
Lacan ripensa il lutto attraverso un’articolazione topologica dei tre registri: simbolico, immaginario e reale[7] e precisa che la perdita nel lutto costituisce un buco nel reale. Nella psicosi questa topologia è rovesciata, trattandosi invece proprio di un buco nel simbolico (la forclusione del nome del padre) che ritorna nel reale. Il lutto è un buco nel reale e ritorna per il soggetto attraverso il simbolico, mentre nella psicosi è un buco nel simbolico e ritorna nel reale.
Si potrebbe dire che questo ritorno nel simbolico nel lutto corrisponde, da un punto di vista clinico, a quei dettagli che Freud richiama nel dire che emergono nella memoria particolari del defunto e ricordi associati allo stesso che insistono a rendersi presenti nella memoria.
Se i rituali del lutto hanno la funzione di velare il buco con dei significanti, evocando la memoria del defunto, nulla può effettivamente colmare questo buco. Proprio perché attraverso la morte di un essere amato il significante della mancanza nell’Altro si rivela “(…) questo buco offre il posto in cui si proietta precisamente il significante mancante“[8], dal momento che “non si tratta di un significante qualunque ma del significante essenziale alla struttura dell’Altro”,[9] un significante assente che “rende l’Altro impotente a darvi la sua risposta”,[10] dunque una risposta che non può venire dall’Altro del simbolico ed è per questo che con la morte il significante della mancanza nell’Altro si rivela in tutta la sua dimensione cruda e netta. “Questo significante trova il suo posto qui e al tempo stesso non può trovarlo, perché questo significante non può articolarsi a livello dell’Altro”.[11]
E’ un significante che si può pagare“solo con la vostra carne e con il vostro sangue. E’ essenzialmente il fallo sotto il velo”[12] e se questo velo si leva si scopre che al di sotto non c’è niente, oppure per dirlo in altro modo, che c’è il niente della castrazione come principio attivo del desiderio che chiama in causa la mancanza e l’oggetto perduto.
Condizione di cui si può fare esperienza in analisi ma che nei vissuti della persona in lutto, nell’impossibilità di sollevare quel velo, come nella psicosi, al posto del significante entra in gioco il registro immaginario e pullulano tutte le immagini che rientrano nei fenomeni del lutto. L’immagine serve a tappare il buco. Il reale non permette al simbolico di colmare il buco e l’immaginario viene in soccorso. E’per questo che Lacan, nel suo commento all’Amleto, mette in rilievo l’importanza cruciale del gioco simbolico legato ai riti funebri affinché l’esperienza radicale e reale del lutto per possa permettere all’individuo non da solo, ma in una dimensione collettiva, di trovare una sua via per fare con il buco reale.
Mary Nicotra
testo pubblicato in IL DESIDERIO. La sua interpretazione e la sua causa. A cura di M.L. Katch, annuario dell’Antenna Clinica IPOL, Antigone Edizioni, Torino, 2017-
[1]J.Lacan, Il Seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione (1958-59), Einaudi, Torino 2016, p.372.
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[2] S.Freud, Lutto e Melanconia (1915), in Opere, Vol. 8, Boringhieri, Torino 1989, pag.103.
[3] J.Lacan,Il Seminario, Libro X, L’angoscia (1962-1963), Einaudi, Torino 2007, p.366.
[4] J.Lacan,Il Seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione (1958-1959), Einaudi, Torino 2016, p.371.
[5] Ibid. p.370.
[6] Ibid. p.371.
[7] R.Adam,Le deuil:travail, traversès, coupure in Qu’appelle.t-om faire son deuil? 40^ rencontre: 30,31janvier et 1 fèvrier 2015, Montreal,Sèminaire du Champ Freudien, Actes du Pont freudien Confèrence et sèminaires.
[8] Ibid. p.371.
[9] Ibid. p.371.
[10] Ibid.
[11] Ibid.
[12] Ibid.